Le colonne che vedete dietro la recinzione in Piazza Castello, in Città Vecchia, sono l’unica testimonianza dell’esistenza del tempio dorico di Poseidone. Se ne stanno lì, solenni e maestose, a dare il benvenuto a chi oltrepassa il Ponte Girevole e a raccontare, mute, una storia secolare.

Esistono altri templi dorici disseminati in Italia (Sicilia e Campania per lo più) ma quello di Taranto – o quel che ne rimane – è il più antico luogo di culto della Magna Grecia.

Pensate un po’. Le nostre colonne doriche, uniche superstiti di un tempio che fu, hanno visto la luce prima di quelle di Siracusa e di Paestum. Tutto è cominciato da qui, da Taranto, poi è venuto tutto il resto. E me ne compiaccio spudoratamente.

tempio di poseidone

In questo post parleremo della storia del Tempio di Poseidone, così ricca di travagli e colpi di scena da far invidia agli intrighi più conturbanti di Beautiful.
Sono quasi certa che a conclusione della lettura avrete imparato almeno una cosa nuova. Non vi ho convinto? Ok, ecco un piccolo assaggio di quel che vi aspetta:

  • lo chiamano Tempio di Poseidone, ma non era dedicato a Poseidone
  • fino agli anni ‘70 era visibile solo una colonna
  • alla messa in luce delle due colonne contribuì una lettera di Mussolini
  • gli studiosi di antichità sono in grado di raccontarci come era fatto il tempio dorico di Taranto prima che venisse distrutto.

Rinvenimento del Tempio Dorico di Taranto

Fino al 1700 le colonne residue del Tempio Dorico di Taranto erano una decina. Lo sappiamo perché Artenisio Carducci, nel commento alle “Deliciae Tarentine” di Tommaso D’Aquino, parla di “dieci spezzoni di colonne d’ordine dorico” che furono successivamente infrante per consentire la costruzione del Convento dei Celestini.

Di queste, solo una restò a testimonianza dell’antica esistenza del tempio. Vista l’importanza del reperto, mi aspettavo che la colonna superstite fosse degnamente segnalata da un cartello o illuminata da un faretto. Anche di pochi watt. Macché.

La colonna solitaria era letteralmente incastrata nella struttura muraria di un piccolo cortile (quello dell’ex ospedale dei Pellegrini, attiguo al Convento dei Celestini ) e il suo capitello faceva da terrazzino a un balcone abbellito allegramente con vasi di piante e fiori.

PRESSO IL TEMPIO DI NETTUNO

Del mare assonna
ai murmuri l’acropoli;
ma da millenni
veglia – ed eterna pare! –
la dorica colonna.

”Tanka”, M.I. D’Amuri – 1965

Le prime indagini di Luigi Viola sul Tempio Dorico di Taranto

Il primo a intraprendere i lavori di rinvenimento del Tempio Dorico di Taranto fu Luigi Viola. Fece liberare il fusto dell’unica colonna visibile dai vari strati di intonaco che ne avevano deturpato l’aspetto, scavò in profondità – fino a rinvenire i rocchi inferiori della colonna – e all’altezza del suo capitello. Qui individuò un secondo capitello completamente incastrato nella struttura.

Era il 1881 e, dopo allora, non venne più fatta alcuna esplorazione archeologica. Era infatti implicito che ogni altra indagine richiedeva la demolizione parziale o totale delle costruzioni esistenti e le autorità ecclesiastiche erano restie a permettere la distruzione dei luoghi sacri di loro pertinenza.

Poi, qualcosa avvenne. Qualcuno mostrò interesse per i ruderi del Tempio? Non proprio. I lavori di demolizione del Convento dei Celestini (divenuto nel frattempo un distretto militare) cominciarono, ma solo per costruire il Palazzo delle Poste. Taranto aveva bisogno di un edificio da adibire a questo scopo e, con tanto spazio a disposizione, non si trovò area migliore che quella dell’ex Convento.

colonne doriche taranto

Sia detto per onestà intellettuale che, man mano che proseguo con questa storia, l’ipotesi dello schianto di un meteorite che facesse emergere le due colonne completamente intatte dalle macerie sarebbe risultata non solo provvidenziale, ma persino più credibile.

Fatto sta che, durante i lavori di costruzione delle Poste, vennero prevedibilmente alla luce i primi blocchi di carparo del tempio dorico. Altolà! Fermo ai lavori e decreto di inedificabilità dell’area.

La lettera di Mussolini interrompe la costruzione delle Poste

Il prezioso ritrovamento archeologico di Taranto fece addirittura nascere una controversia fra il Ministero delle Comunicazioni e quello della Pubblica Istruzione. Il primo pretendeva dal secondo un indennizzo per l’opera non eseguita e per la mancata utilizzazione dell’area. A risolvere il battibecco fu una lettera che Mussolini inviò a Costanzo Ciano, allora Ministro delle Comunicazioni. Ecco qui, solo per i lettori di Taranto Magna, un piccolo estratto:

“Caro Ciano, la tua Amministrazione ha torto. Lo ha perché non si è premunita con opportuni preventivi sondaggi dal pericolo di troppo interessanti scoperte archeologiche; […] Taranto, che è la città più prolifica d’Italia […], non deve assistere all’infinito a una lite fra due membri dello stesso organismo, fra due Amministrazioni dello stesso Stato.”

Fu così che il Ministero delle Comunicazioni rinunciò all’indennizzo, e il Palazzo delle Poste venne eretto nella sede attuale, nel Borgo nuovo.

Tuttavia, Taranto non ebbe nemmeno in questa occasione il suo tempio. Tanto per dirne una, la seconda guerra mondiale sospese ogni iniziativa. In più, i fondi necessari ai lavori scarseggiavano. Insomma, parafrasando Manzoni: “Questo tempio non s’ha da fare”.

Solo negli anni ‘70 l’Amministrazione Comunale di Taranto si assunse la responsabilità dell’esecuzione degli scavi.  Il lavoro delle talpe nell’area di interesse liberò i resti del tempio dorico dalle costruzioni posticce e le due colonne videro finalmente la luce dopo anni di occultamento e di incuria.

Come era fatto il Tempio di Poseidone?

Attualmente, del Tempio di Poseidone rimangono due colonne e la base di una terza, ma da una serie di calcoli è emerso che sul lato lungo dovevano essercene almeno 13. La mancanze di tracce relative al lato corto del tempio rendono difficile precisarne le dimensioni, ma probabilmente era costituito da 6 colonne.

colonne doricheAvanti alle colonne rinvenute doveva essercene almeno un’altra con un diametro più largo: le colonne situate agli angoli, infatti, venivano rese più robuste per conferire maggiore staticità alla struttura.

Ordine dorico, ionico e corinzio. I tre ordini dell’architettura greca restano impressi nella memoria degli studenti anche a molti anni dalla scuola dell’obbligo. Le due colonne di Taranto appartengono all’ordine dorico, il più essenziale dei tre, tanto per intenderci. Sono alte più di 8 metri e il materiale usato per costruirle è il carparo.

La scanalatura delle colonne aveva una precisa funzione: su di essa incideva la luce del sole, variabile nel corso del giorno, e questo creava dei piacevoli toni chiaroscurali che donavano all’edificio maggiore risalto.

L’ingresso del Tempio di Poseidone  si affacciava sicuramente sul canale navigabile perché quasi tutti i templi greci avevano il fronte rivolto ad oriente.

A chi era dedicato il tempio dorico di Taranto

L’attribuzione del Tempio Dorico a Poseidone risale a Luigi Viola, semplicemente considerando che il dio del mare era il patrono di Taranto e i coloni non potevano che consacrare a lui il principale luogo di culto.

In realtà, è più probabile che il monumento fosse dedicato ad una divinità femminile. Se la giocano Artemide, Atena e Persefone, con una lieve preferenza per quest’ultima. A Taranto, infatti, questa dea ha sempre goduto di un’altissima considerazione e gli studiosi sono tutti concordi nel ritenere che la statua di Persefone attualmente situata nel museo di Berlino sia, in realtà, di provenienza Tarantina.

In più, durante gli scavi per il rinvenimento del Tempio Dorico, sono stati trovati 3 frammenti di statuette rappresentanti una donna seduta in trono, insieme a resti di ossa, zanne di suini e terra bruciata. Questo insieme di elementi rende più che verosimile l’ipotesi che nell’antico tempio i coloni facessero sacrifici in onore di una divinità femminile.

Fonti:
Il monumento greco di Taranto – Le colonne del tempio dorico di Poseidone, di Claudio De Cuia

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