Alto circa 1,70 con un peso di 77 kg. Aspetto gradevole, capelli ricci e scuri, occhi neri e profondi.
Questa potrebbe essere la descrizione di un qualunque ragazzo di oggi, in nulla diverso rispetto ai nostri più aitanti concittadini.
Eppure, non si tratta di un uomo qualunque. Quella che state per leggere è la storia di un eroe millenario. Una storia che parla di gloria, coraggio, sacrificio.
Come molti degli eroi che abbiamo imparato ad amare da piccoli, la sua identità è un mistero. A tutti è noto semplicemente come “Atleta di Taranto”.
L’atleta di Taranto è l’unico atleta del mondo greco di cui sia stata interamente recuperata la sepoltura. Il suo scheletro rappresenta un cimelio dal valore inestimabile. In questo articolo leggerete ciò che la sua tomba, rinvenuta a Taranto, ci ha rivelato, permettendoci di conoscere meglio questo personaggio misterioso.
L’atleta di Taranto: il ritrovamento della Tomba
La tomba dell’atleta troneggia oggi in una sala del Museo Nazionale Archeologico di Taranto, ma il suo ritrovamento risale a più di 50 anni fa. Fu rinvenuta a Taranto il 18 dicembre 1959 in via Genova nel corso di lavori edilizi.
All’interno del feretro giaceva lo scheletro ben conservato di un uomo morto tra il 500 e il 480 avanti Cristo, che recava nella mano sinistra un alàbastron, cioè un vasetto portaunguenti usato dagli atleti. Ai vertici della tomba furono rinvenute tre anfore e qualche frammento di una quarta.
È il suo prestigio a giustificare una sepoltura così solenne, una sepoltura monumentale singola e non in comune con altri compagni. Sembra infatti che egli fosse molto più di un campione: un uomo capace di competere con successo nelle arene di Atene e, perciò, onorato come un dio.
Lo scheletro all’interno della tomba è oggi visibile al MarTA attraverso il riflesso sugli specchi posti in cima al feretro. Non è dunque possibile avvicinarsi troppo o affacciarsi direttamente alla tomba, pena il suono di un piccolo allarme.
Lo sport nell’antica Grecia
A quei tempi la devozione religiosa si esprimeva attraverso il duro allenamento e il perfezionamento della forma fisica. Una vita interamente dedicata allo sport, fatta di sforzi, sudore e disciplina, era il sacrificio più grande che si potesse rendere agli dei.
Un atleta di successo entrava in possesso di un prestigio paragonabile alle star di oggi. I combattenti erano temuti e rispettati, e la vittoria era il simbolo della gloria suprema, della massima riconoscenza pubblica a cui un uomo potesse aspirare.
Era quello un mondo rude e violento, prettamente maschile. Alle donne non era consentito accedere alle competizioni sportive, pena la morte. Gli atleti partecipavano svestiti in onore della Grecia e degli dei.
La necessità di dedicare molto tempo agli allenamenti e l’impiego di ingenti sostanze economiche per la naturale preparazione permetteva solo ai membri delle classi più facoltose di prendervi parte. Dunque, l’atleta di Taranto doveva essere di nobili origini.
L’Atleta di Taranto: l’aspetto fisico
Lo scheletro è arrivato ai nostri giorni in perfetto stato di conservazione e non presenta parti mancanti. Ciò ha permesso una ricostruzione delle sue fattezze: un uomo più alto della media dell’epoca, dalla corporatura forte e massiccia, con larghe spalle, potenti muscoli dorsali e delle braccia e gambe esplosive.
Gaspare Baggieri, antropologo specialista in ritrovamenti dell’antichità, studiando i resti dell’atleta giunse alla conclusione che si trattava di una persona molto attenta alla forma fisica. Il suo regime d’allenamento era estremamente lungo e rigoroso.
Verdure e cereali costituivano il principale alimento dei nostri antenati che, a lungo andare, potevano provocare il deterioramento dei denti. Il nostro atleta presenta invece una perfetta dentatura, chiaro indice del suo stato di salute.
Le Anfore Panatenaiche
Altri indizi sull’atleta di Taranto ci arrivano dal modo in cui è stato sepolto e, in particolare, dai 4 vasi posti agli angoli del feretro: si tratta infatti di anfore usate per premiare i vincitori, l’equivalente delle attuali medaglie d’oro. Tuttavia, non sono riconducibili alle Olimpiadi ma ad altri tipi di giochi antichi: i giochi panatenaici (è ragionevole supporre che avesse partecipato anche ai giochi olimpici, ma non è accertato).
Le anfore, realizzate su commissione e decorate finemente, erano considerate premi di inestimabile valore. Esse venivano consegnate al vincitore di una competizione insieme ad altre anfore non decorate, piene di olio degli uliveti consacrati alla dea Atena.
Ogni vincitore riceveva fino a 100 anfore, che equivalgono a migliaia di litri di olio d’oliva, per un valore stimato paragonabile ai nostri attuali 75mila euro.
I raffinati disegni della anfore panatenaiche riproducevano scene delle competizioni per cui venivano date in premio. Questo ci fa perciò capire in quali prove il nostro atleta era risultato vincitore.
Pentathlon: in cosa primeggiava l’Atleta di Taranto
Dopo un accurato restauro, le anfore rivelarono che l’atleta di Taranto doveva aver partecipato alle durissime prove del Pentathlon, che comprendeva 5 discipline distinte: salto in lungo, lancio del disco, lancio del giavellotto, lotta, corsa.
In effetti, le analisi del Dottor Baggieri hanno rivelato che la struttura ossea e lo sviluppo muscolare dell’atleta di Taranto si adattava perfettamente al lancio del disco, senza dubbio la sua principale attività.
Lo sviluppo della parte inferiore della gamba suggerisce inoltre che fosse molto abile nel salto in lungo: stinchi grandi, solidi e robusti provano che fosse dunque un eccellente saltatore. Attraverso una simulazione, è stato addirittura possibile ricostruire quanto riuscisse a saltare l’atleta di Taranto, ovvero fino a 3 metri.
Una delle anfore rivela la sua partecipazione alla corsa delle bighe, competizione brutale al punto che il cocchiere poteva non arrivare a fine gara. Tuttavia, è più probabile che l’atleta di Taranto non gareggiasse in prima persona e che abbia ricevuto l’anfora in quanto proprietario della biga vincente.
La morte dell’Atleta di Taranto
L’atleta di Taranto è stato costretto a pagare a duro prezzo il successo conquistato. Fra le giunture della scapola sono infatti stati rilevati i segni di un prematuro deterioramento. Sembra dunque che l’artrite abbia costretto l’atleta a ritirarsi.
I duri allenamenti e l’eccessivo sforzo fisico lo condussero allo stremo delle forze e alla morte in giovane età, fra i 27 e i 35 anni.
Oggi, le sue spoglie ci restituiscono l’immagine di un uomo capace di gareggiare ai massimi livelli, e ci consegnano la testimonianza di un passato straordinario, rimasto ignoto per 2500 anni.
Il Museo di Taranto, noto in tutto il mondo per i raffinati oggetti di oreficeria (orecchini, collane, anelli, diademi, corone) rinvenuti nelle sue necropoli, si fregia quindi di un altro importantissimo cimelio dell’antichità, di cui tutti i Tarantini dovrebbero andare orgogliosi.
Fonti:
Documentario “Atlantide – Storie di Uomini e Mondi”
Angelo Conte, “Atleti e Guerrieri”, Ed. Scorpione, Taranto, 1994
Enzo Lippolis, “Gli Eroi di Olimpia”, Ed. Scorpione, Taranto, 1992
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