Se stamattina vi siete svegliati al suono della banda che intona “Tu scendi dalle stelle” significa che:

1) oggi è il giorno dell’Immacolata, è festa, vi sentite di buonumore
2) oggi è il giorno dell’Immacolata, è festa (e avreste voluto dormire di più), vi sentite di malumore.

Che siate o meno dei fan della banda di Natale, resta un dato di fatto: oggi è l’8 dicembre e l’inizio del Natale è, ormai, cosa ufficiale e incontrovertibile.
I Tarantini che non hanno ancora addobbato casa e sistemato le luci sul proprio balcone non hanno più scampo: devono farlo oggi, pena il chiacchiericcio dei vicini e il broncio dei più piccoli.

Se infatti Santa Cecilia apre le porte al Natale, l’Immacolata le spalanca con energia, facendo entrare nei focolari tarantini il panettone, la tombola, le carte napoletane e i primi regali sotto l’albero. La tradizione prevede anche la preparazione dei  classici dolci natalizi: pettole, sanacchiudere e carteddate.

Tutto a posto fin qui, mi direte. Nessuna novità fin qui, confermerete. E allora perché dare a questo articolo un titolo così spocchioso? Cosa avrà mai da dirvi questo blog che non sappiate già? Lo scoprirete solo leggendo (parafrasando Battisti).

Le origini della devozione per l’ Immacolata a Taranto

Prima notizia: l’Immacolata è patrona di Taranto  – al pari di San Cataldo – sin dal 1943.
Ma in quale occasione ebbe inizio il culto dei tarantini per l’Immacolata (che è poi la seconda notizia)? Le sue origini sono antichissime… parliamo di più di 300 anni fa.

Era la notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1710. All’improvviso, Taranto fu colpita da un violento terremoto che causò ingenti danni senza mietere vittime. La popolazione attribuì il miracolo alla Madonna, che fu così proclamata protettrice della città appena il luglio seguente.  Ma il patrono “principale” rimaneva comunque San Cataldo.

Il 20 febbraio 1743, un altro terremoto (con annesso tsunami) afflisse il Salento e, anche in questa occasione, la città subì solo lievi danni. Per i Tarantini fu la Vergine ad arrestare entrambe le catastrofi grazie, secondo la tradizione popolare, a un gesto delle sue mani.

C’è infatti un particolare a rendere la statua dell’Immacolata Tarantina (realizzata a Napoli nel 1679) unica e speciale: l’inconsueta posizione delle mani,  giunte non sul petto ma verso destra, così come la Vergine stessa aveva indicato, in un’apparizione avvenuta a Parigi, a suor Caterina Labouré, una giovane novizia delle Figlie della Carità.

Per circa due secoli l’Immacolata fu venerata come Patrona “minore” di Taranto fino a quando, il 12 febbraio 1943, grazie alla proposta dell’arcivescovo Ferdinando  Bernardi, la Vergine divenne “Patrona principale di Taranto insieme e come San Cataldo”.

La processione dell’ Immacolata a Taranto

Le celebrazioni hanno inizio l’ultima domenica di novembre. La statua della Vergine viene accompagnata in processione dalla chiesa di San Michele a quella di San Cataldo per l’inizio della novena in suo onore, che si conclude il 7 dicembre. Le viuzze del borgo antico vengono invase dalle note dell’inno “O Concetta Immacolata” (versi e musica sono di autore sconosciuto) e delle litanie.

Nel tardo pomeriggio dell’8 dicembre, ha inizio invece la solenne processione della Vergine Immacolata che percorre il pendio San Domenico, piazza Fontana, via Garibaldi, discesa Vasto e piazza Castello, il tutto accompagnato dalle melodie delle pastorali natalizie, suonate dalle due bande cittadine, e da fuochi d’artificio.

pettole tarantine

Tradizioni, culinarie e non, del giorno dell’Immacolata

Come dicevamo all’inizio dell’articolo, all’alba dell’8 dicembre (ma anche il giorno della vigilia) le bande musicali  girano per le vie cittadine per eseguire pastorali e canti natalizi. Si rinnova la tradizione, iniziata con Santa Cecilia, della preparazione delle pettole tarantine e, in più, dell’albero e del presepe.

In passato, il giorno della vigilia si usava fare digiuno. L’unica cosa che era consentito mangiare a pranzo era una  specie di pagnotta ovale e soffice, detta mescetàre o miscetàle o miscetàte (termine che deriva da una deformazione di vigitale, ossia della Vigilia).

A cena ci si abbuffa, ieri come oggi, ché è una bellezza: tutta la famiglia si riunisce attorno alla tavola imbandita di specialità a base di pesce: frutti di mare, linguine o vermicelli con le cozze, mùgnele e cime di rape, capitone all’agrodolce, spigole, orate, triglie arrosto, baccalà fritto.

Ai primi e secondi piatti fanno da contorno fenùcchie e catalogne, alìe, pruvelòne e marangiàne sott’olie; poi ancora Clementine del Golfo di Taranto, noci, fichi secchi, mandorle, nocelle infornate e castagne d’u prèvete.

Poi, si sa, i Tarantini sono “pettolo-centrici”, indi per cui, ancora pettole per dolce, ma stavolta cosparse di miele o vincotto. Sanacchiùdere, carteddàte e primi morsi al panettone, giusto per gradire.

Di corsa si sparecchia la tavola per dare inizio ai classici giochi della tradizione natalizia: l’immancabile tombola, le cui caselle vengono coperte dai partecipanti con fave e frammenti di buccia di  clementine – occhio a chi bara – e lunghissime giocate a carte. Gli uomini di casa sembrano propendere specialmente per il tressette, che li impegna fino a che “s’achiudène l’uècchie p’u suènne”.

Fonti:
1)A. Merodio, Istoria tarentina
2) G. Peluso, ‘A nnate ‘u Bbammine
3)N. Caputo, Quel Natale fatto in casa
4)Foto di copertina tratta da: www.grottagliesitablog.wordpress.com

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