La prima volta che ho incontrato Arione è stato nel titolo di una versione di greco di quinto ginnasio. La versione si chiamava proprio così, “Arione e il delfino”.
Non chiedetemi come faccia a ricordarmelo, so solo che negli anni ho sviluppato questa strana capacità di rammentare perfettamente cose insignificanti e di tralasciare quelle di capitale importanza.
Ora, chi come me ha avuto a che fare col greco, sa benissimo che nella traduzione non ci si può prendere troppe libertà e che si deve rimanere quanto più possibile fedeli al testo.
Capirete quindi lo stato d’animo di rivalsa con cui mi accingo a raccontare questa leggenda: in barba ai frustranti vincoli della traduzione letterale, ho tutta l’intenzione di prendermi un sacco di licenze (nel metodo di narrazione, non nei contenuti) e di parlare di Arione e il delfino esattamente come mi pare.
Arione, il citarista
Dicevo, Arione e il delfino. Presentiamo come si deve i due protagonisti di questa leggenda.
Arione era una famoso citarista. Periandro, il tiranno di Corinto, adorava sentirlo suonare e cantare, ma lo lasciò partire per permettergli di accrescere la sua fama.
Arione girovagò per l’Italia, ma a Taranto dimorò più a lungo che in altre città riuscendo ad accumulare ingenti ricchezze. La sua abilità con la cetra gli aveva infatti procurato presso i Tarantini grande ammirazione: come strimpellava lui, manco Jimi Hendrix.
Sul delfino non mi sento di aggiungere molto, se non che era curioso (ridere in questo punto, prego). Il suo destino si intreccerà con quello del citarista nel prossimo paragrafo.
Da Taranto a Corinto: l’incontro tra Arione e il delfino
Essendo al culmine della notorietà, Arione pensò fosse giunto il momento di allontanarsi da Taranto e di tornare a Corinto. Quando la nave salpò e fu in alto mare, la ciurma complottò contro di lui perché voleva impadronirsi del suo denaro.
Arione supplicò l’equipaggio di prendersi tutti i suoi averi e di lasciarlo in vita, ma nessuno dei marinai si commosse. Gli fu data, tuttavia, la possibilità di scegliere (che gentili…) fra un suicidio con degna sepoltura in terra o un tuffo in alto mare.
Arione scelse la seconda alternativa ma, prima di compiere l’estremo gesto, chiese di intonare un ultimo canto. Presa la cetra, suonò e cantò una lode ad Apollo così soavemente che attirò intorno alla nave un gruppo di delfini.
Quando si buttò, uno di essi lo raccolse sul dorso e lo portò sano e salvo presso il santuario di Poseidone a Capo Tenaro.
I marinai proseguirono per Corinto senza accorgersi di nulla.
La rivincita di Arione
Smanioso di ripartire subito, Arione dimenticò di spingere in mare il delfino, che morì in quel luogo. Raggiunse Corinto e raccontò all’amico Periandro la sua disavventura. Il re ordinò che il delfino fosse sepolto e gli fosse innalzato un monumento funebre.
Poco tempo dopo, giunse a Corinto la nave su cui Arione aveva viaggiato. Periandro fece chiamare l’equipaggio e, fingendosi ignaro dei fatti, domandò notizie di Arione. I furbetti risposero che era in ottima salute, che girava per l’Italia raccogliendo trionfi ovunque, ma che al momento si trovava a Taranto.
La risposta di Periandro fu questa:
Domani giurerete davanti al monumento del delfino!
e comandò che fossero rinchiusi in prigione.
Il giorno dopo furono condotti al sepolcro e qui essi giurarono di aver detto su Arione la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Ma il citarista, che fino a quel momento se ne era rimasto nascosto, si palesò al cospetto dei marinai lasciandoli di stucco.
Periandro li fece crocifiggere presso la tomba del delfino, vendicando così l’offesa che l’amico Arione aveva subito.
Si dice che Apollo, colpito dal canto intonato in suo onore, abbia poi assunto fra le stelle Arione e il delfino trasformandoli in due costellazioni: la costellazione della lira e la costellazione del delfino.
“Breve storia di Taranto narrata al popolo” di Andrea Martini
Foto di Copertina: Opera di Giovanni Lanfranco, “Arione e il delfino”, 1604-1605 – Roma, Galleria Farnese
Foto nell’articolo: William-Adolphe Bouguereau, Arione su un cavallo marino, 1855
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