Chissà quanti altri articoli avrete letto in questi giorni sulla Settimana Santa a Taranto… una montagna, probabilmente. Se poi ci aggiungiamo quelli scritti in occasione dei Riti Pasquali degli scorsi anni, il volume delle fonti disponibili aumenta a dismisura, e la suddetta montagna diventa immensa, mastodontica. Appennini interi di inchiostro e pixel.
Ma che ci posso fare, anche io devo dire la mia su questo evento tarantino. Tuttavia, dopo un certosino lavoro di indagine sulla storia e le origini della Settimana Santa a Taranto, sono riuscita, udite udite, a recuperare qualche chicca inedita, qualche curiosità sconosciuta ai più.
Intendiamoci, non tutto sarà nuovo per voi. Un po’ qui e un po’ là troverete notizie già note, che avrete fatto vostre ormai da anni. Capitemi, non posso mica trascurare l’ipotesi che queste righe passino anche sotto la rètina di qualche neofita delle tradizioni tarantine, seppur sparuto…
Diamo il via alle danze, dunque. A conclusione della lettura di questo articolo sulla Settimana Santa di Taranto, passerete dallo stadio “So quel che serve” a “So di più” , e diventerete veri e propri Super Sayan della Città dei due Mari. Soddisfatti o rimborsati.
Settimana Santa a Taranto: origini e differenze
Partiamo dalle cose semplici: la Settimana Santa di Taranto comincia ufficialmente quando ci si scambia i ramoscelli d’ulivo durante la Domenica delle Palme e tocca il suo culmine durante due processioni: quella dell’Addolorata del giovedì e quella dei Misteri del venerdì.
I primi riti pasquali si ebbero a Taranto nella seconda metà del 1500, in piena dominazione spagnola. Gli Spagnoli, meglio sarebbe dire gli Aragonesi, portarono in città i loro usi e costumi, compresi quelli pasquali.
A differenza di ciò che accade oggi, essi avevano luogo solo la mattina del Venerdì Santo, e a parteciparvi erano tutte le confraternite di Taranto, non solo quelle principali di San Domenico e del Carmine.
In più, ogni confraternita che faceva pellegrinaggio ai sepolcri della città vecchia aveva a capo un suo troccolante, il confratello che agita uno strumento di legno dal suono particolare, un caratteristico “trac-trac” dal quale potrebbe derivare la parola “troccola”.
Potete immaginare quale rumore assordante dovesse esserci nelle viuzze dell’isola con tutte quelle troccole in giro!
E, in effetti, gli abitanti della città vecchia se ne lamentarono moltissimo. Nel 1708, secondo quanto si evince da un documento custodito nell’archivio di stato, il vicario capitolare proibì l’uso delle troccole durante la processione del venerdì mattina, venendo incontro alle lamentele degli isolani tarantini.
La processione dei Misteri un tempo si svolgeva, quindi, nella città vecchia di Taranto, poi, per cause non meglio definite, si decise di spostarla nel borgo nuovo.
In un articolo de ‘Il Tempo’ del 14 febbraio 1967, custodito nell’archivio del Carmine, si legge:
“Quest’anno per esigenze legate al traffico cittadino la processione non potrà attraversare il ponte Girevole”.
Altre fonti invece alludono alla scarsa partecipazione dei fedeli alla processione in città vecchia quale causa del “trasferimento” nel borgo nuovo.
I riti Pasquali di Taranto: cosa accade giovedì e venerdì
Nel primo pomeriggio del Giovedì Santo inizia il pellegrinaggio dei Confratelli del Carmine nei “Sepolcri” , ovvero gli altari della reposizione allestiti in ogni chiesa della città. Escono in coppie o “poste”, a piedi nudi e incappucciati, e percorrono le vie cittadine facendo sosta in ogni sepolcro lungo il loro percorso. Sono i perdoni, in tarantino “perdune”, e simboleggiano i pellegrini che si recavano a Roma in cerca del perdono di Dio.
Le “poste” impiegano diverse ore a compiere il tragitto designato perché avanzano con un dondolio lento ed esasperante che i tarantini chiamano “a nazzecate”.
Curiosità: perché “a nazzecate”
La processione dell’Addolorata, anticamente, pare prevedesse l’ingresso in sette chiese della città, tante quanti gli ingressi della città di Gerusalemme.
I numerosi fedeli, a causa delle esigue dimensioni delle chiese locali, spesso erano costretti ad accalcarsi fuori dalle stesse, attendendo pazientemente il loro turno e quindi, sia per riscaldarsi che per riequilibrare il peso del corpo, si lasciavano andare a quel dondolio meglio noto come “nazzicata” che è divenuto poi il passo tipico dei “perdune”.
L’ultima coppia di confratelli che esce dalla Chiesa del Carmine viene chiamata “u serrachiese”, in quanto ha il compito di “serrare” le chiese, cioè di chiuderle per la notte che si avvicina.
Spesso le coppie di confratelli si incrociano con altre lungo la strada. In questi casi, viene fatto “u salamelicche”, cioè una sorta di riverenza: i perdoni si tolgono il cappello e portano i rosari ed i medaglieri contro il petto.
Tutti i perdoni devono rientrare al Carmine entro la mezzanotte del Giovedì quando, dalla Chiesa di San Domenico, parte la Processione della Madonna Addolorata.
Tradizione prevede che la statua, all’uscita dalla chiesa, sia salutata con l’esecuzione della Marcia Funebre “A Gravame”, dedicata ad un giovane musicista della banda scomparso in un tragico incidente sul lavoro.
Questa processione si conclude solo il pomeriggio del Venerdì Santo alle 17:00 per consentire l’inizio della seconda processione, quella dei Misteri, che si dirama dalla Chiesa del Carmine per farvi nuovamente ritorno solo alle 7:00 del mattino del sabato. A sfilare per la città, in questo caso, sono le statue rappresentanti la passione di Gesù.
La “guida” della processione: il troccolante
A capo di entrambe le processioni c’è sempre il troccolante, a cui spetta il compito di chiudere i riti tarantini il sabato mattina: giunto “nazzicando” davanti alla Chiesa del Carmine, bussa tre volte con la punta del suo bastone, detto “bordone”, su una delle ante chiuse, in un’atmosfera di silenziosa e profonda commozione. Questo è uno dei momenti più significativi e affollati di tutta la processione.
Piccola curiosità: il troccolante della Processione dei Misteri viene incappucciato solo dopo aver varcato il sagrato della Chiesa del Carmine. Poi, gli viene messo anche il cappello.
Quando tutto ebbe inizio: la famiglia Calò
La nascita delle due processioni, dei Misteri e dell’Addolorata, si ebbe nel 1703, quando Don Diego Calò ordinò a Napoli le statue del Cristo Morto e della Madonna Addolorata.
Una volta arrivate a Taranto, le statue furono collocate in una cappella gentilizia, ma non si sa se in quella del palazzo di famiglia (situato proprio agli inizi di Via Duomo e poi demolito), o in quella della Chiesa di Sant’Agostino. A farcelo supporre è la presenza dello stemma dei Calò anche in questa struttura, raffigurante un albero da frutta attorno a cui è avvinghiato un serpente che cerca di addentare uno dei pomi.
Fatto sta che Don Diego Calò, da allora e per tutti gli anni e gli eredi a seguire, radunò le confraternite di Taranto per la processione del Venerdì Santo, limitata all’epoca soltanto al Gesù Morto e all’Addolorata. Nei secoli successivi si sarebbero aggiunti alla processione altri simulacri, raffiguranti i momenti più significativi della Passione e Morte di Gesù.
Accadde poi, nel 1765, che Francesco Antonio Calò, discendente di Don Diego, diede una svolta a questo rito donando le statue che componevano la processione alla Chiesa del Carmine e conferendo ad essa il compito di perpetrare la tradizione. Ma perché proprio alla Chiesa del Carmine?
Perché la Chiesa del Carmine: pietre bianche e pietre nere
Francesco Antonio Calò, che divenne anche sindaco di Taranto, aveva notato che, di tutte le confraternite invitate il Venerdì Santo, quella del Carmine si distingueva per zelo, devozione e disciplina.
L’accettazione del dono delle due statue non fu però immediata, anzi, l’assemblea dei confratelli del Carmine la mise ai voti. A quei tempi, il sistema di votazione si chiamava “Bussola” e consisteva in due contenitori in cui dovevano essere inserite pietre nere per il no, e pietre bianche per il sì.
Al colore dell’urna doveva corrispondere il colore della pietra. Così, se nell’urna bianca venivano messe pietre nere, ciò esprimeva il dissenso di qualche confratello.
Per la donazione delle due statue alla confraternita del Carmine, l’assemblea si espresse così: 81 pietre bianche e 12 pietre nere.
Origini del culto dell’Addolorata a San Domenico
A introdurre il culto dell’Addolorata nella chiesa di San Domenico Maggiore fu, nella prima metà del ‘700, l’abate Vincenzo Cosa. Tale culto si affermò a tal punto da far scomparire completamente quello verso San Domenico. Persino la statua del Santo fu rimossa dalla nicchia dell’altare e sostituita con quella della Madonna.
Giunto ormai a veneranda età, l’abate fece dono della statua dell’Addolorata alla confraternita di San Domenico e si ritirò a vita privata. Pare che abitasse nell’attuale Palazzo Galeota, e, non a caso, voci del popolo sostengono che il fantasma di un prete aleggi fra i corridoi di questa struttura.
L’Addolorata della Chiesa di S.Domenico, alle 9:00 del venerdì Santo, compie una sosta dalle Suore dell’Immacolata. Se non dovesse più uscire dopo la recita del Santo Rosario, la tradizione prevede il rientro della statua a San Domenico e la sospensione della Processione.
Curiosità: perché la sosta alle Suore di Maria Immacolata
La sosta, oltre ad essere un momento di preghiera, consente ai confratelli di ristorarsi e di onorare un’antica usanza. In passato, infatti, i confratelli non effettuavano la sosta all’Istituto delle suore perché, mentre erano sul ponte che collegava città vecchia e nuova, venivano raggiunti dalle donne (mamme, mogli, sorelle) che portavano loro qualcosa da mangiare. La sosta non è lunga perché deve solo ricordare una tradizione.
Le due statue dell’Addolorata: particolari che non avete notato
Le due statue dell’Addolorata sono molto simili fra loro, ma presentano alcune differenze. Certo, i capelli di entrambe le Madonne sono veri e i vestiti sono ricamati a mano, ma non deve sfuggirvi che:
- quella del giovedì Santo (San Domenico) è più alta (quasi un metro e ottanta) ed ha una figura più snella;
- entrambe le statue hanno nelle mani un cuore trafitto e un fazzoletto, ma hanno i simboli invertiti;
- il pugnale che trafigge il cuore dell’Addolorata è diverso: quello della statua di San Domenico è un pugnale a forma di cuore conficcato al centro, mentre quello della statua del venerdì Santo (Carmine) ha l’impugnatura a croce e due stiletti ai lati.
Conclusioni
Siamo arrivati alla fine dell’articolo e mi sento un po’ triste. Chissà se è questo ciò che provano i “perdune” la mattina del sabato, quando cresce in loro la consapevolezza che i riti pasquali stanno per concludersi, e la commozione prende il sopravvento.
C’è chi arranca, chi ha la forza per l’ultima nazzicata e persino chi indietreggia in modo impercettibile, quasi a voler rallentare il sopraggiungere della fine, a voler ritardare il ritorno alla vita di tutti i giorni.
E’ un evento davvero singolare quello della Pasqua Tarantina: gli abitanti mostrano il loro vero volto e danno prova di coraggio, rispetto delle tradizioni e sacrificio. Persino la città sembra sforzarsi di apparire più bella, e con il suo mare e le sue bellezze, pare di sentirla sussurrare all’orecchio: “Natale con i tuoi, Pasqua a Taranto”.
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