Kalimera e Tumulo sono due giovani innamorati nati sotto una cattiva stella, osteggiati nella ricerca della felicità da cause di forza maggiore. Anche Taranto ha infatti avuto i suoi “Giulietta e Romeo”: una bella Tarantina e un console Romano accesi da un amore reciproco, ardente ma impossibile.
Di tutte le storie d’amore ambientate a Taranto (la leggenda di Skuma, ad esempio), quella di Kalimera e Tumulo è forse la più romantica e triste. Perché Cupido, ammettiamolo, qualche volta si diverte a intrecciare destini inconciliabili, a scagliare frecce imbevute di passione fra i membri di fazioni avverse… col benestare di Shakespeare.
Preparate il fazzoletto, vi servirà.
Kalimera e Tumulo: il colpo di fulmine
Al tempo in cui i romani assediavano Taranto, viveva in città un’incantevole fanciulla di nome Kalimera. Una mattina, affacciatasi alle mura difensive per osservare l’accampamento del nemico, incrociò lo sguardo del console Tumulo, il comandante delle forze romane. Fu un colpo di fulmine per entrambi.
I due giovani cercarono in tutti i modi di incontrarsi e conoscersi, ma le porte della città e la presenza delle guardie tarantine impedivano all’una di uscire e all’altro di entrare. Finché, una notte, Kalimera riuscì ad eludere la sorveglianza, ad aprire le porte e a far entrare Tumulo. Tuttavia, con lui entrarono anche i soldati romani.
Kalimera condannata al rogo
Scoppiò una battaglia. I tarantini lanciarono la controffensiva e respinsero gli invasori oltre la cinta muraria prendendo come prigioniero Tumulo ed altri suoi compagni. Kalimera venne accusata di tradimento e, secondo le leggi della città, condannata al rogo.
Il coraggio di Tumulo
Tumulo osservò impotente mentre la ragazza veniva issata su un’alta pira al centro della città. Ma proprio mentre le fiamme cominciavano a lambire le sue vesti, il console romano riuscì a divincolarsi dalle guardie e a precipitarsi su Kalimera, abbracciandola per la prima volta.
I loro cuori finalmente si unirono, anzi, si fusero nell’eternità. Il fuoco li consumò entrambi e si racconta che ancora oggi, in alcune vie di Taranto, si odano nel vento i loro bisbigli d’amore misti a urla di dolore.
Curiosità: il gioco d’infanzia “Tùmene Seie”
Un tempo, uno dei passatempi diffusi fra i giovani tarantini era il “Tumene Seie”, un gioco che consisteva nell’indovinare quanti oggetti (noccioline, confetti, sassolini) uno dei due giocatori teneva chiusi in un pugno. Tra i due si svolgeva questa specie di dialogo:
- Tumene seie
- Apre porte
- Quante ne porte?
- Ne puerte… cinche!
Il De Vincentiis sostiene che il “Tumene” della filastrocca sia lo stesso Tumulo della nostra storia, il console che venne assoggettato dai tarantini – con il concorso di Annibale – al fine di attuare una congiura ai danni dei romani, assalendo la rocca da questi occupata con la scusa di portare loro dei doni. Quando invece i romani aprirono la porta per far entrare Tumulo, i congiurati tarantini penetrarono nella rocca e vi fu il grande eccidio descritto da Tito Livio nell’opera Ab urbe condita.
Chiudiamo l’articolo con le parole di Alessandro Criscuolo il quale sintetizzò così la leggenda di Kalimera e Tumulo:
Kalimera
Tarantina leggiadra e coricida
arse di molto amore per Tumulo
console Romano.
E mentre la città era stretta di assedio
ella aprì le porte all’uomo che amava.
Fu condannata al rogo
ma mentre le fiamme l’avvolgevano
vi salì Tumulo
che stretto a lei arse.
D’ambo le ceneri al vento
a noi la leggenda
Tumulo est.
“Taranto…tarantina. Contributo allo studio delle tradizioni popolari” di Cosimo Acquaviva
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