Vi presento Falanto e consorte. Sono quelli che vedete raffigurati nel pannello in ceramica mentre siete intrappolati nel traffico su Corso Vittorio Emanuele II.
La loro storia è, in un certo senso, complementare alla leggenda di Taras di cui abbiamo parlato in un post precedente. Conoscere entrambe è stato davvero interessante, tanto che mi sto domandando se esistano città italiane altrettanto fortunate da poter chiamare in causa leggende così avvincenti per spiegare le loro origini.
La lastra in ceramica (dipinta da Silvana Galeone, Centro culturale Filonide) che vedete nelle foto rappresenta Falanto che ha appena schiacciato un pisolino ed è stato risvegliato dalle lacrime di Etra, versate al pensiero delle molte afflizioni patite dal marito.
Di che afflizioni si tratta? Cosa preoccupava Falanto? Tranquilli, siamo qui apposta per scoprirlo.
Falanto capo dei Parteni
Facciamo innanzitutto le dovute presentazioni. Falanto era un valoroso guerriero che aveva condotto gli Spartani alla vittoria contro i Messeni. Dopo quella guerra, però, ci furono a Sparta vivaci agitazioni interne. I Parteni, a cui Falanto apparteneva, reclamavano il riconoscimento dei diritti civili, ma venivano osteggiati. Vi spiego perché.
Per semplificare al massimo, durante la guerra le donne spartane si lamentavano perché non potevano procreare essendo i loro uomini impegnati al fronte. Alcuni dei soldati, gli Spartiati, furono allora richiamati in patria allo scopo di incrementare le nascite.
I giovani nati da Spartiati e donne spartane non sposate venivano chiamati “Parteni” (che significa “figli di vergini”) e non avevano diritti politici perché ritenuti figli illegittimi.
I Parteni sentivano che non avevano molte speranze di essere considerati al pari di altri cittadini Spartani, perciò preferirono trasferirsi altrove. A capo di questo gruppo di fuoriusciti vi era proprio Falanto, pronto a cominciare una nuova vita con i suoi compagni.
Falanto e l’Oracolo di Delfi
Prima dell’allontanamento dalla Madre Patria, Falanto volle consultare l’Oracolo di Delfi per sapere cosa lo attendesse in futuro.
L’oracolo di Delfi era la fonte di predizioni più autorevole del mondo greco. Fate conto che fosse Paolo Fox e il bollettino meteorologico messi insieme ed elevati all’ennesima potenza. Praticamente infallibile.
Il vaticinio veniva pronunciato dalla sacerdotessa Pizia, ma le sue parole erano diretta espressione del sapere del dio Apollo. Quando qualcuno interrogava l’oracolo per ricevere consigli, Pizia cadeva in una specie di trance e pronunciava parole confuse che un sacerdote addetto parafrasava. Questo fu il responso che Falanto sentì pronunciare:
Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città.
Capirete la perplessità e lo sconforto di Falanto nell’udire queste parole. È come se gli avessero detto: “Riuscirai nella tua impresa quando vedrai crescere la foresta pluviale nel deserto del Gobi”. Un’assurdità, insomma.
Ma in quel vaticinio c’era un trucco che presto sveleremo. Falanto si fece coraggio e si preparò a intraprendere il viaggio insieme agli altri Parteni.
Il naufragio e il delfino
La traversata in mare fu piena di avversità. Venti contrari li spinsero verso il mare Egeo e qui la nave fece naufragio.
Ma ecco che un delfino giunse in soccorso di Falanto e lo portò a riva. Da qui il capo dei Parteni coordinò i soccorsi in favore dei suoi compagni. La nave fu riparata alla meglio e pronta a ripartire.
Per molto tempo i Parteni navigarono senza meta, e Falanto fu persino tormentato dal dubbio che il vaticinio non dovesse mai avverarsi.
Finché un giorno, stremato, si addormentò sulle ginocchia della moglie Etra, il cui nome significa “cielo sereno”. La donna, pensando alle sventure vissute dal marito, cominciò a piangere. Le sue lacrime destarono Falanto.
L’oracolo si avvera
Fu un’illuminazione. Le parole oscure dell’oracolo furono finalmente interpretate: aveva piovuto dal cielo sereno. Evviva.
Falanto e i suoi compagni si trovavano in quel momento nel golfo di Saturo, alla foce del fiume Tara, ed è qui che fondarono una nuova città sottraendo le terre agli Japigi. La chiamarono Taranto in onore di Taras, l’eroe che secoli prima era giunto in quegli stessi luoghi.
A Taranto, Falanto stabilì un governo aristocratico, ma le sue leggi crearono malcontento fra la popolazione e una violenta sommossa lo costrinse ad allontanarsi dalla città e a rifugiarsi a Brindisi.
Prima di morire, Falanto si ricordò che l’oracolo aveva predetto che Taranto sarebbe rimasta inviolata se le sue ceneri fossero state sparse entro le mura della città. Si raccomandò dunque che le sue reliquie venissero polverizzate e distribuite di nascosto nel foro di Taranto per assicurare il possesso della città ai Parteni.
In omaggio a questo gesto, i cittadini riservarono a Falanto onori divini e la sua figura venne rappresentata (così come avvenne per Taras) a cavallo di un delfino su medaglie e monete.
“Breve storia di Taranto narrata al popolo” di Andrea Martini
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